COS'È LO STORYTELLING AZIENDALE
Barilla rappresenta la casa e gli affetti, Red Bull il brand capace di mettere le ali (e non ci riferiamo solo ad un semplice slogan, ma pensiamo alle tante sponsorizzazioni vincenti, dalla Formula 1 a Baumgarten, il primo uomo ad aver saltato dalla Stratosfera), Mulino Bianco le genuinità delle cose tradizionali e della natura... La società dei consumi in cui viviamo è piena di storie che vengono raccontate attraverso i prodotti venduti e acquistati. Queste storie servono a creare una relazione tra azienda e consumatore, in modo da poter incrementare le vendite: quanto più la storia è coinvolgente, tanto più avrà effetto positivo sui consumatori. Saper raccontare storie non è un’attività che si limita al marketing e alla pubblicità, ma tutta la nostra vita sociale ne è intrisa.
Nel caso del brand, le aziende comunicano se stesse attraverso un universo di valori, significati e simboli. Ecco cosa vuol dire fare storytelling. Tuttavia lo storytelling aziendale non consiste soltanto nel raccontare storie, ma nel creare veri e propri universi narrativi che “arrivano” al “pubblico” (interno ed esterno all’azienda) attraverso una serie di attività comunicative. Ecco perché il corporate storytelling si è affermato come attività strategica di business di primaria importanza. Ma il “potere di una buona storia”, veicolata attraverso una comunicazione efficace, funge anche da collante per l’intera popolazione aziendale, crea spirito di squadra, senso di appartenenza, spinta motivazionale.
La creazione di un’identità narrativa aziendale permette ai dipendenti di dare un senso al proprio lavoro.
Oggi tutti raccontano. Lo vediamo ovunque, soprattutto sul web (dove lo spazio dialogico è molto ampio) e in particolar modo sui social media, grazie alla loro immediatezza e alla loro capacità di diffondere un messaggio in maniera capillare. Si racconta per condividere, per informare, per influenzare una scelta, per divertire… ma non tutti sono in grado di costruire racconti strategici, che raggiungono cioè l’obiettivo per cui sono stati creati.
Fare storytelling (non solo aziendale) significa soprattutto studiare e progettare in maniera strategica i racconti, in modo che possano raggiungere un obiettivo reale, che siano cioè efficaci. Tale efficacia si può misurare nel breve, medio o lungo periodo, in base alla strategia messa in atto e al contesto.
In ogni caso la funzione della narrazione d’impresa deve essere quella di creare valore aggiunto. In che modo? Come fare storytelling? Innanzitutto, come detto, avere bene in mente l’obiettivo e come arrivarci, costruire relazioni solide con gli interlocutori, coinvolgendoli e rendendoli partecipi, guidare i cambiamenti culturali e non subirli. Ad esempio le tecniche dello storytelling possono essere trasmesse ai commerciali, dotandoli di uno strumento capace di mostrare la nostra narrazione aziendale, e quindi la nostra identità di marca, ma può essere trasferito anche su supporti cartacei come brochure o su canali relazionali (ad esempio all’interno degli uffici in modo da mostrarla al cliente quando entra “fisicamente” all’interno dei nostri spazi aziendali). Le storie possono essere incorporati in tutte le forme di contenuti: blog, e-book e anche la pagina "Chi siamo" può (o meglio, deve) attrarre il pubblico.
Per chi si occupa di comunicazione deve essere un pensiero fisso quello di attingere dall’interno dell’azienda per raccogliere nuove storie da inserire in una narrazione più ampia, “contagiare” i colleghi ad esempio “formandoli” alla narrazione, in modo da creare una nuova competenza, quella alla narrazione, che sia trasversale (per ruoli e reparti). Sarà poi suo il compito di “unire i punti” grazie alle sue capacità, e fare storytelling (anche “soltanto” per uso interno) grazie al materiale a disposizione. Ovviamente sarà un’attività graduale.
In realtà non è raro scoprire capacità e attitudini a generare idee creative e storie anche in persone che lavorano in reparti più tecnici e altre aree aziendali, capaci anche di dare spunti e punti di vista diversi ma integrabili con la narrazione. Ad esempio, utilizzando form e moduli distribuiti tra i dipendenti, la società di assistenza sanitaria americana Kaiser Permanente raccoglie materiale che finisce sul blog esterno o che viene utilizzato internamente, creando un database di storie da poter utilizzare.
NARRAZIONI VIRTUALI
Perché ne hanno solo sentito parlare o perché ne hanno compreso realmente l’importanza, ma una cosa è chiara:
tutte le aziende vogliono fare storytelling.
È un tarlo che si è annidato nelle menti di manager e responsabili alla comunicazione, che ne vedono utilità, applicazioni e potenzialità. I brand, non solo quelli più grandi, hanno iniziato a sperimentare lo storytelling in maniera immersiva attraverso la realtà ricostruita della Virtual Reality o della Augmented Reality (VR e AR, rispettivamente Realtà Virtuale e Realtà Aumentata) tanto che l’Economist ha recentemente titolato Story Time questa nuova attitudine a voler sviluppare storie e a declinarle attraverso i visori per la realtà virtuale. Se il 2016 è stato l’anno del gaming (soprattutto in salsa realtà aumentata, si pensi al boom di Pokémon Go), il 2017 segnerà il passaggio verso le narrazioni immersive. «Solo il tempo e la sperimentazione imporranno un nuovo linguaggio da sviluppare...» scrive l’Economist, mentre cita il caso di un cinema ad Amsterdam che “proietta” cortometraggi in VR: «La vera sfida è trovare il contenuto», afferma il proprietario Jip Samhoud, «Il mio cinema impiega due persone a tempo pieno che girano per il mondo alla ricerca di esperienze!». Non male come lavoro!!!
Una delle più grandi sfide per il futuro sarà quello di integrare la customer experience e lo storytelling aziendale, creando esperienze uniche, che si differenzino dalle altre tanto da riuscire a creare un vero e proprio legame tra il brand e l’audience.
La VR sta creando un nuovo linguaggio e, complice la maggior fruizione dei contenuti virtuali (l’International Data Corporation stima che entro il 2020 il mercato del VR arriverà intorno ai 162 miliardi di dollari) le aziende ne vogliono sfruttare al massimo le potenzialità.
Le prime esperienze del genere sono state fatte dai grossi brand nel settore dell’automotive, del food & beverage e del turismo. Mercedes Benz fa vivere un’esperienza unica “tentando” il consumatore con una guida virtuale su un’auto di lusso lungo la costa californiana, Nissan ha inserito l’esperienza fisica, facendo sedere “l’utente” su sedili dinamici che si muovono in sincronia con le immagini, Red propone un’esperienza avventurosa ai piedi di un vulcano pronto ad eruttare, Oreo consente un viaggio in un mondo magico per spiegare l’origine dei loro biscotti, la catena alberghiera Marriott va “rivivere” l’esperienza di un soggiorno all’isola di Maui, nelle Hawaii, attraverso i visori per la realtà virtuale. Roba solo per grossi brand? Assolutamente no, basta citare il caso di Musement, una startup che opera nel turismo e che offre l’interazione tra reale e virtuale, come nel caso della visita “virtuale” alla Torre Eiffel a Parigi.
In risposta alle “virtual-narrazioni” dei brand, sono state create contro-narrazioni da parte dell’associazionismo militante. Per esempio Animal Equality, associazione che lotta per la protezione degli animali allevati a scopo alimentare, permette attraverso un visore di “entrare” in un allevamento intensivo di maiali e muoversi al suo interno per far percepire cosa avviene realmente (per “catturare” il materiale attraverso videocamere a 360 gradi sono state necessarie investigazioni sotto copertura).
Ma quale può essere uno scenario futuro? In un mondo dominato dai social media, la VR può essere vista come tecnologia che isola le persone, più che farle “connettere”. Ecco perché la “social virtual reality” è lo sviluppo più interessante: contenuti fruibili insieme, anche tra persone che si trovano in luoghi diversi nel mondo, far “vivere” storie non solo immersive ma anche condivise. Andare anche oltre la narrazione permettendo agli utenti di modificare e influenzare una storia: il pubblico non più fruitore, ma parte integrante della narrazione.